Il diritto al rifiuto e alla rinuncia di cure salvavita

In questo articolo riportiamo una rielaborazione dell’intervento tenuto dal Prof. Stefano Canestari in occasione del convegno “Con dignità, senza dolore”, organizzato da SO.CREM Bologna in data 12 gennaio 2019. 

La partecipazione del Prof. Canestrari ha permesso di fare chiarezza sui diritti dei pazienti e sui doveri dei medici, entrando nel merito di due leggi italiane che regolano il rifiuto e la rinuncia di cure salvavita e l’accesso a cure palliative, terapia del dolore e sedazione palliativa profonda. 

Stefano Canestrari durante il convegno

Il Prof. Stefano Canestrari durante il convegno “Con dignità, senza dolore”.

«È importante che sia noto, nel nostro Paese, che oggi si possono rifiutare cure salvavita o rinunciare al loro proseguimento senza che vi siano rischi di eventuali responsabilità civili o penali del medico che attua il distacco dal trattamento di sostegno.

«È importante, prima di tutto, perché si possa definitivamente uscire da atteggiamenti di medicina difensiva, secondo cui il medico, per attuare la volontà del malato di interrompere le cure, si rifiuta di porre in essere condotte attive.

«È anche un modo per salvare delle vite: tutti noi dobbiamo sapere che possiamo intraprendere cure impegnative, gravose, essere collegati a sostegni vitali e che c’è sempre la possibilità di interrompere. Non si entra in un tunnel senza uscita, in una condizione di schiavitù, di irreversibilità, di irrevocabilità del consenso prestato.

«Al malato che abbia bisogno di essere intubato, le leggi oggi attive in Italia lasciano tre diverse possibilità: non solo essere o non essere intubato, ma anche decidere di essere intubato e, qualora lo desiderasse, interrompere il trattamento sanitario, sapendo di non incorrere nel rischio dell’abbandono terapeutico.

«Le leggi alle quali mi riferisco sono due:

  1. Legge 15 marzo 2010, numero 38, concernente Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore (Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010).
  2. Legge 22 dicembre 2017 numero 219, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. (Gazzetta Ufficiale n.12 del 16 gennaio 2018).

«In particolare, nella Legge 22 dicembre 2017 numero 219, ci tengo a citare l’articolo 1 comma 5, laddove consacra il diritto al rifiuto anche di cure salvavita e il diritto alla rinuncia al proseguimento di trattamenti sanitari salvavita.

«Il medico deve prospettare al malato e, se questi acconsente, ai suoi familiari le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative, promuovendo ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica, evitando non soltanto l’accanimento terapeutico, ma anche fenomeni di solitudine e di abbandono terapeutico.

«L’articolo 2 della medesima legge è parimenti importante perché dice che il medico, avvalendosi di mezzi adeguati alla condizione del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario, garantendo sempre un’appropriata terapia del dolore.

«Questo significa sancire che le cure palliative non intendono affrettare né posporre la morte, ma garantire un sistema di supporto che aiuti il paziente a vivere, con dignità e senza dolore, la parte terminale della vita.

«Infine, tengo a sottolineare che la legge oggi afferma che: “In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere, sempre con il consenso del malato, alla sedazione palliativa profonda continua, in associazione con la terapia del dolore”.

«Questa normativa segue di poco il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica che ritiene sia legittimo adottare un protocollo di sedazione palliativa profonda e continua in presenza di tre situazioni contestuali:

  1. malattia inguaribile in uno stadio avanzato;
  2. imminenza della morte generalmente attesa entro poche ore o pochi giorni;
  3. presenza di uno o più sintomi refrattari alle terapie, adeguatamente verificati o di eventi acuti terminali, con grave sofferenza sia fisica sia psichica.

«Questo significa che anche il malato che si inserisce in un processo di fine vita a seguito del rifiuto o della rinuncia di uno o più trattamenti e all’uso di tecniche strumentali di sostegno delle funzioni vitali ha diritto di beneficiare della terapia del dolore e, in caso di sofferenza refrattaria, della sedazione profonda e continua».

Per approfondire

È possibile rivedere tutto il convegno Con dignità, senza dolore grazie alla video-registrazione curata da RadioRadicale: Convegno sulle cure palliative: la video registrazione

Stefano Canestrari

Professore ordinario di diritto penale nell’Università di Bologna. Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica.