In risposta alle dichiarazioni di Filippo Anelli sul suicidio assistito

A seguito delle recenti dichiarazioni di Filippo Anelli, presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici), che si è espresso negativamente sul suicidio medicalmente assistito, ci teniamo a mettere in evidenza alcune delle sue affermazioni, che risultano quantomeno fuori contesto. 

Riteniamo importante chiarire alcuni punti del suo intervento, pubblicato il 19 ottobre 2019 su La Repubblica Salute (vedi nota*), perché rischia di contribuire alla confusione, già dilagante, tra eutanasia e suicidio assistito, peggiorando la già scarsa conoscenza degli italiani delle leggi che regolamentano il fine vita. 

1) «[Il medico] non compirà l’atto fisico di somministrare la morte». 

Nell’ambito del suicidio assistito, al medico non viene chiesto di “somministrare la morte”, né di compiere alcun atto rivolto ad uccidere il paziente. 

Nel suicidio assistito, infatti, è il paziente ad assumere il farmaco letale (il medico somministra la dose che porrà fine alla vita del paziente solo nel caso dell’eutanasia attiva). 

Il commento della Fnomceo nasce in risposta alla recentissima sentenza della Corte Costituzionale che, in relazione al famoso caso Cappato-Dj Fabo, si è pronunciata sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio in situazione di grave sofferenza personale, fisica da malattia ad esito infausto. 

L’affermazione del presidente Anelli è quindi del tutto fuori contesto, e ci auguriamo vivamente che i medici sappiano la distinzione tra suicidio assistito ed eutanasia attiva. 

2) «Il medico non abbandonerà mai a se stesso il paziente» 

È un’affermazione giusta e sacrosanta, allo stesso tempo però si abbandona un paziente anche quando non lo si ascolta, quando si vuole imporre una terapia o una scelta, come ad esempio ricorrere alla sedazione palliativa profonda invece che al suicidio assistito. 

Se, oltre alla sedazione palliativa profonda, in Italia fosse garantito anche il suicidio assistito, il paziente potrebbe scegliere contando sul supporto sia della professionalità del medico sia dell’affetto della famiglia.  

Sicuramente meglio che togliersi la vita o dover espatriare in Svizzera… 

3) «Il medico è fermo sostenitore della tutela della vita»

Nessuno mette in dubbio che il medico tuteli la vita, ma deve anche tutelare una morte dignitosa e, in materia di fine vita, deve tener conto della volontà del paziente, anche se questo significa che il paziente morirà. 

La legge attuale – 22 dicembre 2017, n. 219 denominata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” – dà al paziente il diritto di rifiutare le cure sia direttamente, tramite il consenso informato, sia indirettamente, tramite la sottoscrizione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento. 

Se si porta alle estreme conseguenze la determinazione del medico di “essere sostenitore della tutela della vita”, si rischia di negare al paziente il diritto di rifiutare o di interrompere sostegni vitali come la ventilazione meccanica e la nutrizione forzata.  

E questo significherebbe ledere non solo la volontà della persona, ma anche i suoi diritti in ambito sanitario. 

Nota

*Ci riferiamo all’articolo “Fine vita, i medici: non daremo mai la morte