Cremazione e riti funebri in America: cambiamenti in atto

«La cremazione sta modificando profondamente gli atteggiamenti nei confronti della morte e i rituali funebri ad essa collegati. Insieme alle forme di sepoltura tradizionali, infatti, le nuove generazioni si stanno allontanando dai cimiteri, dai funerali in nero, dai rituali religiosi, per creare nuovi riti più personali e privati».

Questo afferma Suzette Sherman, fondatrice di SevenPonds, un’organizzazione con sede a San Francisco dedicata a tutti coloro che affrontano problemi legati al fine vita e al post-mortem.

Per Suzette, la cremazione ricopre un ruolo fondamentale in tutti i cambiamenti sociali e culturali legati alla morte e ai rituali funebri che l’America sta vivendo. 

Per diversi decenni, infatti, in America il concetto di funerale è stato collegato all’immagine del cimitero: un luogo recintato, una fossa con una lapide, un rituale religioso con ghirlande di fiori e persone vestite in nero, a lutto. 

Ebbene, oggi tutto questo sta profondamente cambiando e le motivazioni sono essenzialmente quattro, tutte connesse con l’aumento vertiginoso della cremazione che, in alcune zone degli USA, è arrivata a superare la percentuale delle persone sepolte. 

Cremazione e riti funebri in America

1° fattore di cambiamento: i costi

In America, il prezzo medio di un funerale con sepoltura tradizione è di circa 7.360 $, ai quali va aggiunta la tomba o il loculo in cimitero. Il costo medio per la cremazione, senza servizi aggiuntivi, è di circa 2.300 $. (Dati 2016 della National Funeral Directors Association).

2° fattore di cambiamento: la famiglia

«Se si guarda al nord-est america – specifica Hightower – molte famiglie sono ancora radicate nelle comunità di nascita e, non a caso, sono più elevate le probabilità che le persone scelgano la sepoltura tradizionale perché sentono più forte il sostegno e la presenza della comunità.

«Dove invece la popolazione risulta più transitoria, è più facile che le persone muoiano lontane da dove hanno trascorso la propria vita e la propria carriera, finendo per scegliere la trasformazione in cenere». 

Trasformazione che, aggiungiamo noi, ha un vantaggio innegabile per chi è vissuto lontano dalla propria terra di origine e vuole tornarci per trascorrerci l’eternità: una maggiore semplicità di trasporto, visto che è molto più pratico, igienico ed economico spostare un’urna che un corpo.

3° fattore di cambiamento: la religione

Solo pochi decenni fa, nel 1960, le statistiche della Cremation Association of North America (CANA) mostravano che meno del 4% delle persone optava per la cremazione a causa di stigmi sociali legati alla religione. Tra 15 anni, invece, le persone che sceglieranno la cremazione in America saranno l’80% (proiezioni della National Funeral Directors Association).

Dal 2010 al 2015, secondo uno studio del Funeral and Memorial Information Councill, la scelta della cremazione è aumentata del 15% tra cattolici e protestanti: il 64% dei protestanti e il 62% dei cattolici prenderebbero infatti in considerazione questa opzione.

4° fattore di cambiamento: il rispetto per l’ambiente

Un altro fattore che sembra spostare l’equilibrio negli Stati Uniti è una popolazione in generale più attenta all’ambiente.

Chris Coutts, professore di urbanistica presso la Florida State University, sottolinea che i cimiteri sono sempre meno rispettosi dell’ambiente a causa del massiccio consumo di suolo e della pratica (in voga negli USA) dell’imbalsamazione dei cadaveri

Nella sua ricerca, il prof. Coutts indica che, tra il 2024 e il 2042, 76 milioni di americani raggiungeranno l’aspettativa di vita media di 78 anni e invita i propri connazionali a ripensare agli atteggiamenti sulle sepolture nell’interesse della conservazione dello spazio e della qualità ambientale, sostenendo l’abbandono dell’imbalsamazione e la creazione di cimiteri verdi, che siano più simili a boschi o a foreste. 

Per approfondire

I contenuti di questo articolo sono una traduzione, elaborazione e sintesi di un’inchiesta molto approfondita apparsa su US News, che vi invitiamo a leggere: Rethinking Death in America