Parlare della morte fa bene. L’esperienza di una docente americana

«Parlare apertamente della morte ha alleviato molte delle ansie dei miei studenti, insieme alle mie. Studiare i modi in cui altre culture affrontano la fine della vita ci ha permesso di vedere che esiste una varietà di possibili risposte alla fragilità e alla finitudine umana, e ci ha aiutato a riconoscere che la morte è parte integrante della vita. E questa è una buona lezione per tutti noi».

Con queste parole, la Prof.ssa Anita Hannig, docente alla Brandeis University (Massachusetts, USA), sintetizza l’esperienza vissuta durante l’insegnamento al corso “Antropologia del morire e della morte”, che lei stessa ha fondato nel 2016. 

«Nella prima parte del corso – racconta la Prof.ssa Hannig – gli studenti avevano il compito di leggere e analizzare necrologi, biglietti di condoglianze ed epitaffi, oltre a compilare le proprie direttive anticipate di trattamento (documenti che dettagliavano i loro desideri riguardo alle cure mediche alla fine della vita).

«Abbiamo anche tenuto un Death Cafe in classe – un incontro tra tè e pasticcini, con lo scopo di parlare della morte – che ha fornito un luogo per discussioni strutturate sulla fine della vita.

«Nel resto del corso, gli studenti hanno appreso i diversi modi in cui gli esseri umani rispondono alla loro finitudine, piangono i loro morti e immaginano l’Aldilà.

Di seguito, riportiamo alcuni dei commenti degli studenti che hanno partecipato al corso: 

“Questa classe mi ha dato la lingua per parlare della morte senza sentire immediatamente l’inizio di una crisi esistenziale”.

“Sì, e mi ha fatto rivalutare le mie priorità nella vita”.

“Ho ancora paura della morte, ma questa lezione mi ha aiutato a venire a patti con quella paura”

“Mio nonno è morto durante le vacanze di primavera. Questa lezione mi ha davvero aiutato a piangere ed elaborare la sua morte. Immagino di essere arrivato a vedere la morte come più naturale”. 

Nota di redazione

Questo articolo è un estratto di Talking About Death in America: An Anthropologist’s View